"Una ragazza che legge sa che il fallimento conduce sempre al culmine,
che tutto è destinato a finire ma che tu puoi sempre scrivere un seguito;
che puoi iniziare ancora e ancora ed essere nuovamente l’eroe.
Una ragazza che legge comprende che le persone, come i caratteri, si evolvono.
Eccetto che nella serie di Twilight.
Se trovi una ragazza che legge, tienitela stretta:lei parla come se i personaggi del libro fossero reali perché, per un po’, lo sono sempre."
Rosemarie Urquico.

domenica 22 luglio 2012

Rebirth Dawn Capitolo VI

VI
- Difetto Di Fabbrica -

< E’ grande e grosso per fare le sue scelte. Sbagliate o giuste che siano nessuno dovrebbe interferire. Quando si sentirà pronto ad affrontare la realtà ed i problemi da cui è scappato tornerà. >
Sue Clearwater accese il bollitore per il tè e preparò due tazze sul tavolo, mentre io continuavo a camminare su e giù per il salotto, mordicchiandomi con nervosismo le dita, avendo esaurito le lacrime.
Le sue parole mi rimbombavano nel cervello da ore e non c’era verso di smorzarle, come fossero la fiammella di una candela. Restavano accese, vivide e flessuose nonostante gli togliessi l’ossigeno.
Che codarda che ero!
Mi ero rifugiata a casa di Seth come una ricercata, spaventata dalla reazione che avrebbe potuto avere la famiglia Cullen dopo la mia fuga dall’altare.
E, oltre a loro, avrei dovuto render conto anche a mio padre, a mia madre e a tutti quegli invitati che avevano tirato fuori l’abito delle grandi occasioni per una cerimonia sfumata.
Seth mi aveva accolto in casa sua, promettendomi protezione sia dalle previsioni di Alice -col suo scudo naturale- che dai borbottii dei miei ed io, sollevata, avevo accettato l’invito senza farmelo ripetere due volte.
Sembrava la soluzione migliore...o forse mi era sembrata solo la più semplice, quella che avrebbe comportato meno conseguenze.
Probabilmente, però, avevo agito troppo avventatamente.
Casa Clearwater era un fac-simile della casa rossa dei Black e la stanza degli ospiti, che mi era stata riservata, era la fotocopia di quella di Jacob.
Durante quelle due notti, che avevo trascorso con Seth e sua madre, sulle mura azzurre di quella camera era stato proiettato un film in bianco e nero dolorosamente familiare.
Non avevo bisogno di vederli in volto per sapere chi fossero quei due ragazzi che si amavano fino a morirne.
Erano due pazzi incoscienti, che non riuscivano a stare lontani e che prendevano fuoco l’uno nelle mani dell’altra.
Sue era stata inaspettatamente comprensiva e gentile e mi aveva persino tenuto lontana sua figlia, che avrebbe volentieri fatto di me il suo pranzo.
Mi aveva lasciata sola con i miei mille dubbi, pensieri, ragionamenti e sensi di colpa senza impormi la sua presenza, nonostante fossi ospite in casa sua.
Era dispiaciuta, certo, della scomparsa di Jake, ma non mi riteneva responsabile e questo, inevitabilmente, aveva l'effetto contrario su di me: mi sentivo colpevole come non mai.
Il bollitore fischiò e lei versò l'acqua bollente nelle tazze, dove era già stato immerso l'infuso che colorò subito la bevanda e sparse un acre odore nell'ambiente.
Mi sedetti al tavolo con lei e sorseggiai il tè caldo con impazienza, scottandomi la lingua.
L'attesa non era mai stata il mio forte e lo dimostrava il matrimonio gettato alle ortiche per la mia dannata fretta di diventare immortale prima di compiere dociannove anni.
Che volevo ottenere?
Che volevo dimostrare?
E a chi soprattutto?
Ad Edward di saperlo amare incondizionatamente per l'eternità intera?
No, di certo.
Quelle nozze erano il mio malsano modo di dimostrare a me stessa che sapevo prendere una decisione, compiere una scelta, senza ritornare sui miei passi pentendomene subito dopo.
Cosa che, ovviamente, non ero capace di fare.
Seth comparve d'improvviso sulla porta, silenzioso come un'ombra e palesemente provato.
Scattai in piedi e gli corsi incontro, appendendomi al suo collo.
Non mi ero mai resa conto di che amico meraviglioso fosse ed in quel momento sentivo il bisogno disperato di dimostrarglielo, nonostante già conoscessi le parole che avrebbe pronunciato prima ancora che parlasse.
< Il branco è in fermento. > dichiarò risoluto e poi tacque, premendo una sua mano rovente sulla mia schiena, per tenermi più vicina a sè.
Forse faceva più male a lui dirmi quelle cose che a me sentirle.
In poche ore si era giocato due amici e ora stava per perdere anche la terza.
< Sam è furioso. Jacob non si trova. > nel sentire quel nome sussultai e premetti il viso sul suo petto, tormentando il mio labbro inferiore < Ha trovato il modo di sganciarsi dalla mente del branco pur mantenendo l'altra forma. >
Sue si alzò in piedi, rovesciò il contenuto delle due tazze nel lavello e si appoggiò al tavolo, soltanto per tenersi occupata.
Attendeva quel responso, che sarebbe suonato come una condanna a morte alle mie orecchie, con la stessa ansia con cui l'aspettavo io.
Soltanto che io ero preparata.
Chiusi gli occhi.
< Il branco non ti vuole nella riserva, Bella. I Cullen sfiorano il confine ogni giorno, nella speranza di riuscire a intravederti e a parlarti. Sam ha dovuto raddoppiare la guardia e... >
< Non ho alcuna intenzione di essere la causa scatenante di una guerra leggendaria. > lo tranquillizzai, staccandomi da lui a forza.
Provai la stessa sensazione di quando lasciai la soleggiata Phoenix per l'uggiosa Forks: smarrimento e solitudine.
Ero sola e lo sarei stata d'ora in avanti.
Non avrei avuto più appigli, salvagenti o ancore di salvezza e me la sarei dovuta cavare con le mie sole forze, tenendomi a galla finchè il mio corpo non avesse ceduto.
Sperai solo di resistere abbastanza da consentire sia a Jake che a Edward di perdonarmi.
No, forse il perdono era troppo.
Di tollerare ancora la mia vista, ecco.
< Ho un ultimo favore da chiedere a te e alla tua famiglia, Seth. > sussurrai, tenendo gli occhi bassi per non incrociare lo sguardo addolorato di Sue.
Sapevo quanto le era costato tenere lontana Leah ed essere evasiva con Charlie, che chiamava ogni due ore per poter parlare con me, ed io le ero immensamente grata della sua complicità, ma non potevo approfittarmene oltre.
A parole non le avrei mai saputo esprimere la mia gratitudine.
< Quello che vuoi, Bella. > rispose Seth.
Avrei preferito tagliarmi un dito di netto piuttosto che uscirmene candidamente con quella richiesta, ma non potevo fare altrimenti.
Sapevo di star agendo di nuovo sotto la fedele guida del mio inseparabile compagno, ovvero l'egoismo, ma non ero capace di far altro.
Non volevo causare problemi a nessuno...e non volevo che Jake mi trovasse ad un passo da casa sua quando avesse fatto il suo trionfale ritorno.
Ero una vigliacca ed affrontarlo avrebbe significato un radicale cambiamento per me e per tutti coloro che mi stavano attorno.
Non potevo farcela. Non ero abbastanza forte.
Ero nociva per chiunque entrasse in contatto con me e perciò era giunto il momento di andare, prima che contagiassi l'intera Forks.
< Mi accompagneresti in Florida? >

***
Strusciai i piedi sullo zerbino, intimorita ed ansiosa.
Avrebbe reagito male, malissimo, lo sapevo perfettamente.
Sarebbe svenuta, mi avrebbe tirato dietro qualche padella o forse mi avrebbe mollato lo schiaffo che meritavo, ma ero pronta a correre quel rischio.
Non c'era posto al mondo in cui volessi trovarmi, in quel momento, che non fossero le braccia di mia madre.
Il sole cocente mi ustionava la pelle, lasciata scoperta dalla t-shirt, e lo zaino sembrava pesare dieci tonnellate sulle mie spalle ingobbite.
Alzai il braccio, puntando il dito verso il campanello e poi lo ritrassi, impaurita.
Probabilmente se non era stata mobilitata la Cia, la Nasa e qualunque altro tipo di sofisticata società di spionaggio era solo grazie alle rassicurazioni di un padre poliziotto, ma niente non mi avrebbe salvato da una Renèe furiosa, che sapeva essere peggio di Hitler, se ci si metteva.
Inspirai.
Espirai.
Scostai la frangetta dal viso imperlato di sudore e piantai bene i piedi a terra, dandomi –sperai- un’aria risoluta.
Tuttavia, quando il trillo del campanello echeggiò nella villetta stile coloniale, che sembrava deserta, mi pentii di aver suonato.
Sarei dovuta correre a nascondermi in Alaska, altro che a Jacksonville!
No, anzi, il Polo –Nord o Sud non ricordavo- sarebbe stata decisamente la scelta più saggia. Avrei potuto giocare allegramente con i pinguini tutto il giorno e annegare nell'acqua gelata tutte le mie preoccupazioni.
Tanto al freddo c’ero abituata...
Era quel caldo soffocante che non sopportavo. Non più.
Mi sembravo un ghiacciolo al limone che si squagliava lentamente.
In Florida si boccheggiava peggio che in Arizona o forse ero soltanto io ad aver sviluppato un'anomala allergia al sole in generale poiché splendeva alto nel cielo, quando, nel mio cielo personale invece, era imploso.
Inspirai.
Espirai ancora.
E feci per fare retromarcia e sparire da lì prima che sbucasse Phil dal garage laterale, quando la porta si spalancò e dall’interno del salotto fece capolino la faccia assonnata di mia madre, che probabilmente si era appisolata davanti ad un soap opera.
Mi soppesò da capo a piedi con uno sguardo che era un misto di stupore, incredulità, gioia e delusione ed io desiderai di essere delle dimensioni di un microbo.
< Ciao mamma. > borbottai, avvampando.
L'avevo delusa e un rimprovero bello e buono non me l'avrebbe levato nessuno, eppure, nonostante avessi chiuso gli occhi preparandomi psicologicamente all'ondata di strilli e strepiti, essi tardavano ad arrivare.
Al loro posto avvertii il familiare profumo di Chanel della mamma ed un caldo abbraccio confortante che sapeva di sicurezza.
< Bentornata a casa, piccola. >
Ebbi voglia di piangere.

*Qualcuno una volta disse che le lacrime che non escono si depositano sul cuore.
Con il tempo lo incrostano e lo paralizzano come il calcare incrosta e paralizza gli ingranaggi della lavatrice.
Ero dunque quello io?
Un meccanismo inceppato che non funzionava più a dovere?
Era per quello che da quando ero fuggita dall'altare, da Edward e da Forks sentivo come se avessi le ghiandole lacrimali prosciugate?
O forse era perchè io ero una ruota dentata con un difetto di fabbrica?
Nel senso che avevo sempre avuto un qualcosa di storto, di inadatto, che non mi faceva incastrare bene col resto degli ingranaggi e a lungo andare avevo finito per usurarmi e spezzarmi.
Una volta rotta io l'intero sistema era andato in tilt.
La lavatrice era da buttare e la colpa era mia.
Ancora una volta solo e soltanto mia.


La stanza che mia madre mi indicò come mia sembrava essere stata staccata dalla casa di Phoenix e teletrasportata per magia in Florida, eccezion fatta per la finestrella di alluminio nuova e la porta non cigolante di legno chiaro.
Era perfettamente in ordine, come avevo trovato quella a Forks quando ero andata a vivere con papà, solo un po' meno sporca.
Mia madre doveva pulirla regolarmente perchè non vi era nemmeno un filo di polvere sulle mensole e sull’armadio.
I libri della mia vecchia scuola giacevano accanto al portatile, che mamma usava quando ero lontana per comunicare con me, e sembravano essere stati usati soltanto il giorno prima.
Era così che Renèe colmava la mia assenza?
Ricreando la mia camera con tutti i miei effetti personali, sperando in cuor suo che prima o poi sarei tornata ad abitarla?
Mi ero trasferita con papà per permetterle di stare accanto a Phil ed essere felice, godendosi la sua meritata serenità senza intoppi, ma forse un pizzico del suo benessere risiedeva anche in me, nella mia presenza nella sua vita.
Strinsi i denti, ignorando la fitta di rimorso che mi aggredì.
Nonostante tutto, avevo l'impressione che tra quelle pagine consunte dalla sfrenata consultazione e tra quei post-it colorati, appesi sul muro, ci fosse un’altra Bella.
Aveva sogni, amici ed aspirazioni quasi opposti a quelli della Bella di Forks.
L’ennesimo sdoppiamento della mia personalità, fantastico!
Desiderai ardentemente cancellare la parentesi della mia vita nella cittadina piovosa in cui abitava Charlie e poter riprendere la vita di Phoenix da dove l'avevo interrotta, tornando ad impersonare la ragazza musona tutta studio e paranoie.
Non perchè avessi vissuto esperienze terribili che non volevo ricordare a Forks.
Tutto il contrario!
Lì c'avevo lasciato il cuore, l'anima ed ogni parte del corpo che potessi donare.
Il problema è che avevo dato un pezzo di me stessa ad Edward ed un pezzo a...
Serrai i denti, inghiottendo ancora il dolore.
Non facevo altro, ormai.
Ogni volta che il suo nome mi saliva alle labbra lo ricacciavo giù, nella parte più remota del mio essere, fingendo di avere un'amnesia che mi avesse fatto dimenticare chi lui fosse e cosa io provassi, esattamente come avevo fatto quando Edward mi aveva abbandonato.
Stavolta, però, ero stata io a lasciare entrambi pensando fosse la decisione migliore per loro.
Cos'altro avrei potuto fare?
Restare lì non mi avrebbe aiutato a schiarirmi le idee ed io ne avevo un dannato bisogno.
Prima di poter scegliere da che parte far pendere la bilancia dovevo prima imparare a conoscere Bella, una Bella che mi era del tutto estranea e che non aveva la più pallida idea di cosa volesse dalla vita. Non più, almeno.
Sbuffai e gettai l’enorme zaino sul copriletto rosa chewingum e mi lasciai cadere all’indietro, affondando nel morbido materasso.
Di colpo sentivo addosso tutta la stanchezza del viaggio che mi aveva ricondotto a casa...anche se quelle mura non sapevano di ‘casa’ per me.
Un timido bussare alla porta mi distrasse dai miei pensieri.
Mia madre entrò quasi in punta di piedi con un vassoio in mano, su cui reggeva in bilico una caraffa piena di tè freddo.
Benedissi chiunque lo avesse inventato quando la bevanda fresca mi scivolò giù per la gola, recandomi istantaneo sollievo all’arsura.
Mamma sorseggiava dal suo bicchiere senza fiatare e, nel contempo, mi guardava di sottecchi, aspettandosi probabilmente un fiume di lacrime, un attacco isterico o una semplice spiegazione.
Dopo circa tre bicchieri di tè avevo lo stomaco che sembrava uno stagno colmo di rane gracidanti, così mi decisi a posare la caraffa –che avevo svuotato praticamente da sola- ,ad afferrare tutto il coraggio che avevo e a parlare...o perlomeno a mettere in fila due parole senza scoppiare a piangere come facevo da bambina, dopo essermi sbucciata un ginocchio.
< Ti starai chiedendo che fine avevo fatto... > attaccai titubante, arraffando un tovagliolo e iniziando ad arricciarlo, tanto per tenere le mani occupate.
Mia madre mi fissava in silenzio, tentando di decifrare il mio sguardo, che ostinatamente tenevo chinato in grembo.
< Io...uhm... non ero più... > tacqui di nuovo, sentendo fluire lontano da me quel poco coraggio racimolato.
Non ce la facevo, era più forte di me.
Se ripensavo al giorno del matrimonio avevo in mente due cose e basta: lo sguardo disperato di Edward e l'ululato di un lupo sofferente, di cui non si sapeva più nulla.
Sperai che non mi si leggesse nulla in faccia poichè volevo evitare domande scomode.
Volevo crogiolarmi nell'illusione che se non avessi aperto bocca o mosso un dito le cose, in qualche soprannaturale modo, si sarebbe aggiustate da sole. Prima o poi.
< Chi era il ragazzo con cui sei scappata? > Mia madre intuì che l'unico modo di cavarmi qualcosa di bocca era quello di sottopormi ad un terzo grado degno del suo ex marito.
Sospirai, rassegnandomi a rispondere alla sfilza di domande che mi attendevano.
< Si chiama Seth Clearwater, è un amico. >
< E perchè sei scappata proprio con lui? >
< Perchè...perchè sapevo che sarei stata al sicuro. > bofonchiai, sperando che non si capisse ciò che dicevo.
Volevo rivelarle il meno possibile del mondo mitologico in cui mi ero ritrovata immersa a Forks.
Volevo proteggere mia madre...ed egoisticamente -tanto per cambiare- preferivo che lei rimanesse all'oscuro, cosicchè Jacksonville potesse sempre rimanere un'oasi di tranquillità e pace in cui potermi rifugiare.
< Ti sentivi minacciata? > mia madre assottigliò gli occhi fino a ridurli alle dimensioni di due asole.
Scossi il capo, sconsolata.
Non avrei mai potuto spiegarle quella faccenda per metà, dovevo trovare un'altra strada.
< Senti, mamma, io ho...uhm...capito che Edward ed io non eravamo...uhm...destinati a stare insieme e...uhm...penso di essere stata presa dal panico. >
Ad ogni 'uhm' il sopracciglio destro di Reneè si alzava di un centimetro in più.
Tentai di ignorarla e proseguii, come meglio mi riuscì con la voce incrinata di dolore.
< Sono scappata con Seth, che mi ha ospitato a casa sua così i Cul... > mi morsi la lingua.
Se le rivelavo che i Cullen non avrebbero potuto rintracciarmi alla riserva -poichè pullulava di licantropi che inibivano il potere della mia quasi cognata vampira- mi avrebbe subissato di domande finchè non avessi svuotato il sacco, fornendole una versione credibile.
Inspirai.
Espirai.
< ...cosicchè potessi riflettere in tranquillità, lontana dalle pressioni di un matrimonio fallito, un padre sconvolto, degli invitati increduli, un quasi marito scioccato ed una quasi seconda famiglia dispiaciuta. > mugugnai, osservando poi sconcertata i frammenti in cui avevo, inconsciamente, ridotto il tovagliolo giacere sul copriletto come tanti fiocchetti di neve posticcia.
< Forse hai fatto bene. Ti avremmo stressato un po' tutti...se solo avessimo saputo dov'eri. Ci hai fatto stare in ansia. > sentenziò alla fine mia madre, stupendomi non poco.
< Non...non sei arrabbiata? > domandai quasi incredula < Né delusa o costernata? >
Lei si sporse oltre il vassoio che ci divideva e mi accarezzò una guancia.
< Certo che no, sciocchina. Io sarei stata la prima a gioire se tu ti fossi sposata e ne fossi stata convinta. Se avevi anche il più piccolo dubbio hai fatto bene a non dire quel 'sì'. Meglio adesso, che in seguito. Credimi, bambina mia, hai risparmiato molte sofferenze a tante persone. > asserì con un sorriso malinconico.
Sapevo perfettamente che stava ripensando ad una se stessa più giovane, fuggita con la coda tra le gambe da quella cittadina dalla monotonia soffocante.
Il problema è che non aveva nemmeno idea che quello che lei aveva definito 'piccolo dubbio' in realtà non era un qualcosa di inconcreto nella mia testa. Non era un'idea, una ipotesi di futuro assieme ad un vampiro ad aver minato le mie certezze, bensì un ragazzo alto e forte, dalla pelle bronzea e la bellezza selvaggia.
Annaspai, tastandomi automaticamente il petto, alla ricerca di quel buco che avvertivo ingrandirsi ogni giorno di più.
Io lo sentivo, sapevo che c'era, ma nessuno lo vedeva.
Lacrime pungenti mi pizzicarono gli occhi e mi gettai senza ritegno tra le braccia di mia madre, sperando placasse il mio dolore con una carezza ed un bacino sulla fronte, come quando ero bambina, senza tuttavia riuscire a piangere e a sfogarmi.
I rubinetti delle mie lacrime erano bloccati, inchiodati per chissà quale motivo.
< Questa è casa tua. Capisco bene che tu non te la senta di tornare a Forks. Puoi restare qui quanto vuoi. > sussurrò lei tra i miei capelli con dolcezza, cullandomi.
Aveva ragione.
Non me la sentivo di ripresentarmi lì e dover fornire un mucchio di spiegazioni che io stessa non mi ero ancora data.
Avevo agito avventatamente, pensando soltanto a me, al mio dolore e a quelle responsabilità che non volevo assumermi ed avevo fatto armi e bagagli alla svelta, fuggendo nel luogo più sicuro che conoscevo -per pura coincidenza anche piuttosto lontano da Forks-.
Charlie lo avrei informato soltanto a tempo debito, per evitare che Edward gli leggesse la mente e venisse a riprendermi.
Per ora sapevano tutti che ero a casa di Seth e tanto bastava per far stare tranquillo papà e per far desistere i vampiri dall’oltrepassare il confine tracciato del patto soltanto per potermi parlare.
I lupi si erano impegnati a tenersi fuori dal raggio di lettura mentale di Edward in cambio della mia partenza.
Ora, però, a casa di Renèe, sola, senza lo schermo protettivo di Seth, avevo paura che Alice potesse vedermi e informasse il mio mancato marito che, nel caso gli fosse venuta voglia di fare un giretto da queste parti, qui non c'era nessun cagnolino fedele a farmi da guardia del corpo.
Ma conoscevo bene il mio vampiro sapevo che non sarebbe corso qui.
Mi stava lasciando i miei spazi, dandomi modo di capire se davvero desideravo ancora un’eternità con lui, cosa che lui era sempre stato restio a concedermi.
Era della visita di qualcun altro che avevo paura...e allo stesso tempo la desideravo ardentemente.
Non ci capivo più niente.
Cercavo di sbrogliare quella matassa confusa in cui erano intrecciati i miei sentimenti, ma non riuscivo a trovarne il capo.
Ogni mia azione era legata a delle conseguenze catastrofiche ed io non volevo mettere in moto nulla di devastante.
Volevo solo tornare ad essere un'anonima ragazza normale.
Era poi chiedere tanto?


Edward mi fissava muto, con le mani serrate a pugno lungo il corpo.
Jacob era accanto a lui, nella stessa posizione. Una solitaria lacrima gli rigava il bel viso, illuminato dalla fievole luce che colorava l'ambiente circostante di un chiarore cremisi.
Feci per avvicinarmi, poi notai un qualcosa che mi fece arretrare inorridita.
Sul petto di entrambi una chiazza rossa andava allargandosi nell'esatto punto in cui avrebbe dovuto trovarsi il loro cuore.
Incrinarono il viso all'unisono in una smorfia di dolore e si tastarono le camicie bianche che indossavano, inzuppandosi le dita del loro stesso sangue.
Gridai di terrore, cercando di correre verso di loro, ma Jake ed Edward esclamarono in coro un < Non ti avvicinare. > che mi bloccò lì dov'ero.
Li guardai contorcersi e urlare fino ad assordarmi, senza muovere un muscolo.
Ero impietrita dalla loro sofferenza che sentivo come mia.
Volevo aiutarli ma per qualche ragione sembrava che fossi io la causa della loro pena.
Eppure ero immobile, disarmata ed umana, come potevo quindi nuocere ad un vampiro ed un licantropo?
Tum-tum.
Il suono riecheggiò intorno a noi, volteggiandoci attorno e accarezzandoci l'udito.
Da dove proveniva?
Erano i loro cuori ancora palpitanti, buttati da qualche parte a produrlo?
Mi guardai attorno, aguzzando la vista per individuare quei due organi -anche se uno avrebbe dovuto essere essiccato come una foglia d'autunno- morenti e restituirli ai loro agonizzanti proprietari.
Tum- tum.
L'eco sordo rimbombò vicino.
Doveva per forza essere da quelle pa...
Qualcosa si contrasse nella mia mano destra, in un ultimo disperato battito a cui seguì un urlo straziato di Jake, che cadde riverso a terra, lambito dal suo stesso sangue che aveva formato una pozza ai suoi piedi.
Alzai la mano e con disgusto ed orrore vidi le mie dita stringere un cuore ormai senza vita, come quello dei documentari di anatomia.
Repressi un conato di vomito e cacciai un grido di dolore.
Ero un'assassina. Avevo ucciso Jake senza pietà.
Tum-tum.
L'ennesimo colpo sordo giunse debole ed il grido che seguì, stavolta, fu quello di Edward, che cadde a peso morto addosso a Jake, fissandomi con sguardo vitreo.
Rabbrividendo sollevai anche la mano sinistra e vidi il suo cuore avvizzito nel mio palmo.
< NO! >


< NO! >
< Bella, Bella svegliati, è tutto finito, tesoro. E' stato solo un brutto sogno. >
Mia madre mi tastò la fronte, scostandomi delle ciocche fradicie dal viso sudato.
Aveva i capelli arruffati, un viso cereo ed indossava una camicia da notte con bretelline piuttosto succinta.
Ansimai, tirandomi a sedere sul letto.
Misi a fuoco l'ambiente che mi circondava, cercando di richiamare alla mente il motivo per cui mia madre avrebbe dovuto trovarsi a casa di Charlie in piena notte.
La stanza in cui ero, però, non era quella di Forks.
Non c'era la finestra sgangherata da cui entrava sempre Edward.
Non c'era lo scacciapensieri appeso alla testata del letto o la lampadina pendente dal soffitto che prima o poi Charlie prometteva di rimpiazzare con un bel lampadario.
Non era più a Forks, ero a Jacksonville.
Come una valanga di sassi sentii crollarmi addosso gli eventi dei giorni precedenti.
Venivo schiacciata da un ricordo dopo l'altro, nemmeno pesassero ognuno trenta tonnellate.
Seth.
La corsa.
LUI.
L'addio.
Il ritorno.
La trasformazione contenuta.
L'amore.
Il biglietto.
Il matrimonio.
Edward in smoking.
Edward disperato.
L'ululato di dolore straziante.
La fuga.
Alla fine della valanga, dopo la caduta dell'ultimo macigno, ero soverchiata da una sofferenza così pressante che iniziai a tremare come in preda alle convulsioni, maledicendo le lacrime che ancora mi negavano il loro conforto.
Mia madre cercava di consolarmi come poteva ma ogni suo sforzo era vano.
Avevo distrutto tutto.
Avevo deluso tutti.
Sarebbe stato meglio se non fossi mai esistita o se fossi rimasta sempre con Renèe e Phil, non dando mai inizio a quel deludente spettacolo, incontrando Edward o LUI.
Nella mia testa non riuscivo nemmeno a formulare il suo nome.
Farlo avrebbe riportato a galla un passato che volevo assolutamente cancellare.
Troppo doloroso, troppo straziante.
Dovevo liberarmene.
Dovevo far fuori la Bella di Forks ed ogni sua sfaccettatura, Bells soprattutto, per potermi ricostruire una vita a Jacksonville.
Dovevo farlo al più presto, prima che lei -loro- uccidessero me.
- Più facile a dirsi che a farsi -
*Citazione di Susanna Tamaro, autrice del libro “Va' dove ti porta il cuore”.

1 commenti:

Unknown ha detto...

Sarà anche un capitolo di passaggi come lo definisci tu ma lo trovato molto intenso.

La prima cosa che mi viene da dire è che mi prudono le mani. Ho una voglia incredibile di prendere a schiaffi Bella. Che tu sei stata molto brava a rendere come la Bella della Myer. È… guarda non lo so mi scappano i termini che non siano insulti.

“Ogni mia azione era legata a delle conseguenze catastrofiche ed io non volevo mettere in moto nulla di devastante,

Volevo solo tornare ad essere un'anonima ragazza normale.”

Stupida ed egoista e soprattutto senza un minimo di coraggio. Tutto questo è una conseguenza della sue azione e lei invece di lottare, di tirare fuori le unghie, di dimostrare al mondo che lei vale qualcosa che fa? Si piange addosso. Ammette che è colpa sua ma mentre getta il sasso ritira la mano. Si nasconde dietro la facciata di Bella santa martire del soprannaturale, che no lei davvero non voleva tutto questo, quando ogni sua singola azione da quando a messo piede a Forks è stata sbagliata.

Non ha sbagliato ad amare Edward l’amore non è mai un errore il suo errore è non essere stata capace d’ amare davvero. Perché sì, lei non ama ne Edward ne Jake, o meglio non sa davvero che cosa voglia dire amare.

Lei resta li, a farsi trascinare dalle onde, ed il suo sogno non potrebbe essere più vero di così, non è il suo egoismo ad averli uccisi è la sua incapacità d’amore.

Scappare è uno sbaglio enorme, così come ha sbagliato Jacob a farlo, ora sbaglia lei.

Ma spero almeno che intraprenda un percorso di crescita che la smetta di fare la vittima, che inizi ad affrontare la vita che si accetti lei per prima perché finché continuerà a considerarsi come il pezzo sbagliato all’interno dell’ meccanismo della vita , continuerà a far fallire qualsiasi altro pezzo entri in collisione con lei.

Sono curiosa ora, sono curiosa di cosa stia facendo lei, di cosa farà lei in florida e soprattutto del nuovo personaggi, che spero che c’entri con bella e che gli apra gli occhi sul suo comportamento ridicolo ed immaturo.

A giovedì prossimo tesoro.

Posta un commento