"Una ragazza che legge sa che il fallimento conduce sempre al culmine,
che tutto è destinato a finire ma che tu puoi sempre scrivere un seguito;
che puoi iniziare ancora e ancora ed essere nuovamente l’eroe.
Una ragazza che legge comprende che le persone, come i caratteri, si evolvono.
Eccetto che nella serie di Twilight.
Se trovi una ragazza che legge, tienitela stretta:lei parla come se i personaggi del libro fossero reali perché, per un po’, lo sono sempre."
Rosemarie Urquico.

mercoledì 18 luglio 2012

Rebirth Dawn Capitolo XVI

XVI
- Un traballante castello di carte -

Natale era andato così come era venuto.
Le lucine intermittenti, che avevano addobbato per quasi due mesi le strade, e le scritte bianche sulle vetrine dei negozi erano scomparse velocemente.
Cominciavo a pensare di avere una percezione distorta del tempo, come se mi fossi addormentata che era Ottobre e svegliata a Gennaio, senza assolutamente avere idea di come avessi trascorso le mie giornate.
Probabilmente avevo inserito una specie di pilota automatico e, nonostante avessi Ellie ad aiutarmi ad andare avanti, inconsciamente in qualche modo non ero riuscita a farlo.
Ero rimasta congelata, cristallizzata nella convinzione che le settimane non passassero e le lancette dell'orologio fossero state inchiodate al quadrante.
Il motivo?
Probabilmente la paura.
Tanto per cambiare ne avevo abbandonate alcune per abbracciarne di nuove e quella che più spesso di tutte mi faceva compagnia aveva le fattezze di Jake.
Lui era il mio pensiero fisso, costante, che non mi abbandonava mai, nemmeno quando sognavo.
E sognavo troppo ultimamente.
Sognavo mani che si cercavano e alla fine si trovavano.
Sognavo rigagnoli di sangue che impregnavano la terra scura.
Sognavo bocche che si scontravano e pelli che si mischiavano.
Sognavo due teste brune beccate da avvoltoi insaziabili.
Sognavo il garage accanto alla casa rossa dei Black ed un terribile litigio tra due persone, che alla fine si amavano tra chiavi inglesi, bulloni e grasso di motore.
Sognavo un paio di rubini gettati su fine sabbia bianca ed una striscia sottile, scavata dal dito di un bambino, che faceva assomigliare il tutto ad un'orribile faccia ghignante.
Sognavo e inevitabilmente mi svegliavo piangendo. Talvolta di dolore, talvolta di gioia.
Avrei tanto voluto far sapere a Jacob che portavo in grembo suo figlio ed allo stesso tempo ne ero terrorizzata.
Forse aveva scelto di vivere come un lupo per il resto dei suoi giorni, ma se, invece, fosse tornato umano da qualche parte e si fosse ricostruito una vita, dimenticandomi?
Erano domande che non potevo pormi.
Facevano così male che ero costretta a rannicchiarmi su me stessa per non crollare come un traballante castello di carte.
Avevo le fondamenta troppo deboli e stavo per cedere.
Aspettavo solo una folata di vento un po' più forte delle altre.
Sospirai.
Seth mi scriveva ogni giorno. S'interessava a me, alla mia salute...ma non aveva idea della condizione in cui vertevo.
Nessuno, a Forks, sapeva che ero incinta, neanche mio padre.
Non volevo che il branco lo sapesse e, in qualche modo sovrannaturale, facesse giungere la notizia alle orecchie di Jake.
Se davvero mi aveva cancellato dalla testa e dal cuore non c’era motivo di metterlo al corrente della mia gravidanza.
Non volevo che si assumesse delle responsabilità che non desiderava in realtà. Non avevo intenzione di rovinargli ancora la vita.
Avevo imparato a cavarmela. Io ed il piccolo saremmo stati bene e, se mai lui avesse poi voluto conoscere suo padre, non gliel’avrei impedito. Era giusto che sapesse…ed una vocina nella testa mi bisbigliava che era giusto che anche Jacob sapesse, ma prontamente la zittivo.
Il mio veleno era meno potente, ma non potevo rischiare di ferire ancora la persona che avevo capito di amare.
L'amore non consisteva, forse, anche nel mollare la presa, al momento giusto?
Accarezzai il freddo vetro della finestra, lasciando una scia nitida sulla macchia di vapore opaco del mio respiro.
Nemmeno i Cullen erano a conoscenza del mio stato interessante, pensavo, o avrei ricevuto almeno una chiamata da Alice.
Quasi certamente il mio bambino -mi piaceva da morire chiamarlo così- aveva lo stesso dono del padre e quindi mi forniva un naturale scudo dalle visioni della sorella di Edward.
Edward.
Chissà cosa faceva, come se la passava...
Ogni tanto me lo chiedevo e, inevitabilmente, la risposta era sempre la stessa: viveva meglio...o perlomeno conduceva un'esistenza migliore.
Lo avevo liberato dal fardello di dovermi trasformare prima o poi, di correre il rischio di perdermi, farmi abbandonare la mia vita umana e tutti i miei affetti.
Ora che ci ragionavo sù con calma, ero arrivata alla conclusione che avrei odiato ciò che sarei diventata e, di riflesso, avrei odiato anche lui, che mi avevo reso immortale.
Avevo puntato i piedi come una bambina capricciosa e Edward alla fine aveva ceduto.
Aveva accettato di togliermi la vita e tramutarmi in un mostro affamato del sangue dei suoi stessi familiari. Come aveva potuto pensare che, con un'eternità a disposizione, non lo avrei, infine, incolpato?
Lo amavo, certo, e probabilmente per…non so…cent'anni quel sentimento mi sarebbe anche potuto bastare...ma poi avrei sotterrato Renèe e Charlie e non avrei potuto versare una sola lacrima sulle loro lapidi. Come poteva essersi illuso che sarei sopravvissuta al mio dolore?
Non ero capace di reagire ad un abbandono, figurarsi una perdita irreversibile!
No, non avevo mai davvero voluto diventare vampira.
In fondo all'anima ne avevo sempre covato un terrore incoffessabile, ma mi ero rifiutata di analizzare da cosa fosse derivato.
Ora lo so e so anche che avevo fatto la scelta sbagliata.
Fortunatamente ero scesa dalla giostra infernale prima che fosse troppo tardi. Ovviamente avevo mietuto vittime su vittime e mi ero lasciata alle spalle una scia di cadaveri che nemmeno come neonata vampira avrei potuto eguagliare, ma meglio tardi che mai.
Sospirai ancora, eliminando con un gesto secco della mano l'alone sul vetro, causato dal mio fiato, che rotolò vià in goccioline traslucide.
A Jacksonville era raro che nevicasse.
Con l'umidità pressante che si respirava era difficile che quegli sporadici fiocchi di ghiaccio attecchissero al suolo e formassero uno strato consistente di neve.
Perciò non avevo passato la vigilia a fare pupazzi bianchi col naso di carota e occhi di bottone, fischiettando motivetti natalizi, come Ellie avreva previsto.
In compenso ci eravamo rimpinziate fino a scoppiare -quella incinta sembrava lei più che io- e avevamo fatto una scorpacciata di film strappalacrime, esaurendo la scorta invernale di Kleneex di Renèe e Phil.
Mi sembrava incredibile ma anche Febbraio stava finendo.
Fuori della mia finestra non scorgevo più il manto di foglie morte e rinsecchite, ma un'erbetta verde già pronta ad accaparrarsi ogni briciolo di sole di quelle ultime giornate invernali.
Quando arrivai qui ero più o meno nelle stesse condizioni del noce bianco che Phil aveva curato amorevolmente duranti quei mesi rigidi -non sapevo avesse il pollice verde-: nudo, senza foglie, secco. Morto.
Non avevo intenzione di riprendere a vivere.
Come aveva detto Ellie era il mio modo di reagire all'abbandono e mi stava più che bene.
Era la mia punizione, il massacrante e unico modo che avevo di espiare le mie colpe.
Eppure qualcuno lassù non doveva essere dello stesso avviso.
Che ci fosse un Dio o meno non avrei potuto affermarlo con certezza.
Che fattezze avesse nemmeno mi importava. Poteva somigliare a Buddha, ad Allah, ad un Gesù Cristo un po' più anziano o al punk, che avevo incontrato ieri sull'autobus, con la cresta blu e la faccia tempestata di percing per quanto ne sapevo.
Ciò che davvero contava era che doveva divertirsi un modo alle mie spalle.
Me lo figuravo intento a guardare in una specie di specchio magico, seduto comodamente in poltrona, e sogghignare alle mie spalle, meditando il prossimo tiro mancino.
Come se non fossi brava da sola ad incasinarmi la vita.
Sospirai e aprii le ante di quello che era diventato il mio nemico numero uno: l'armadio.
Dopo un paio di mesi avevo dovuto dire addio ai comodi jeans e alle mie nuove t-shirts colorate, acquistate quasi sotto tortura con Ellie, e necessariamente dovuto far posto a maglioni larghi e lunghi e pantaloni elasticizzati, in cui, comunque, entravo a malapena.
La mia amica, ovviamente, non si risparmiava alcun genere di battuta in tal proposito: quando mi ero vestita di rosso la sera della vigilia mi aveva allungato una barba candida e cotonata, proponendomi di mascherarmi da Babbo Natale e passare dai vicini per far felici i bambini; quando vestivo con colori sgargianti, invece, mi rimproverava di essere in anticipo sui tempi: Pasqua era ancora lontana -aiutava molto la mia autostima essere paragonata ad un uovo infiocchettato per bene-.
Ciononostante vivevo la mia gravidanza con serenità.
Di sera, prima di coricarmi, accarezzavo amorevolmente la rotondità del mio ventre e mi chiedevo come sarebbe stato mio figlio, di che colore avrebbe avuto gli occhi o i capelli e, chissà perchè, me lo figuravo sempre come un piccolo Jacob, con il sorriso birichino e splendenti occhi neri.
< Belle, sei pronta? >
Infilai le scarpe da ginnastica senza allacciarle -era diventato un problema vedere i piedi con il pancione- e afferrai la borsa -di cui ormai non potevo fare a meno-, raggiungendo Ellie, sulla soglia della mia camera.
< Perchè ho visto il mio regalo di compleanno buttato sul letto come niente fosse? > mi rimproverò, mettendomi il broncio, mentre uscivamo in strada ed un vento glaciale ci sferzava, cercando di gelarci fin dentro il midollo.
Sorrisi e la presi a braccetto, ignorando le sue finte proteste.
Sapeva bene quanto me cosa ci facesse lì. Era, in assoluto, il gesto più dolce che lei potesse fare nei miei riguardi. Il dono migliore che avevo ricevuto...dopo un piccolo lupo intagliato nel legno ed un acchiappasogni, rimasti entrambi a Forks.

< Sono in ritardo di almeno tre mesi! > sbottò Ellie d’improvviso un giorno di fine Dicembre, mentre Tom Cruise si lanciava dal tetto di un palazzo interamente in vetro, tentando di aprire il suo paracadute.
Sputai la cioccolata calda sul copridivano a fiorellini blu di mia madre, macchiandolo irrimediabilmente.
La mia amica mi passò un fazzoletto senza batter ciglio e cambiò posizione, incrociando le lunghe gambe, fasciate dai leggins, sui cuscini.
La fissai con sguardo truce, prendendo un’altra sorsata di Ciobar ustionante e ficcandomi -contemporaneamente- una manciata di pop-corn in bocca, ignorando i colpi di pistola degli inseguitori dell’agente Ethan Hunt.
Conoscevo a memoria Mission Impossible III, non mi sarei persa granchè.
Ormai era diventato un rito vederlo quasi una volta a settimana, con tanto di schifezze annesse che io potevo ingurgitare senza ritegno -da quando ero incinta avevo scoperto di adorare il miscuglio dolce/salato-.
< Sembri Ciop quando si ingozza di ghiande.. > mi prese in giro Ellie con un mezzo sorriso sulle labbra rosse.
< Non hai idea della fame che ho! > bofonchiai, deglutendo quel malloppo di cibo a fatica.
Lei scosse la testa ed i codini, che portava quella mattina, le rimbalzarono sulle spalle.
< Per fortuna no! >
< E che cavolo vuol dire la frase che hai detto prima allora? > l’apostrofai alterata.
Aveva rischiato di farmi morire soffocata per un falso allarme?
A casa mia, la frase “sono in ritardo” seguita da un lasso di tempo non espresso in minuti o ore equivaleva ad essere in stato interessante.
Ovvero il mio.
< Belle, io prendo la pillola e faccio comunque usare il preservativo a tutti quelli con cui vado. Giusto Gesù Cristo potrebbe mettermi incinta! > rise e alzò gli occhi smeraldini al cielo.
< La Madonna del 2000! > la schernii con una punta di acredine nella voce.
< Dai, non fare quella faccia! Sei tu che hai capito male! >
< Non è colpa mia se tu sputi una frase equivoca ogni due. > asserii acida, voltandole la testa offesa per tornare a concentrarmi sul film: Ethan cercava un punto dove il suo telefono prendesse per poter avvertire Owen Davian che aveva la zampa di lepre e poteva scambiarla per sua moglie.
Quegli ormoni impazziti non erano propriamente il massimo. Passavo da uno stato di pura esaltazione ad uno di depressone totale nel giro di un nanosecondo cronometrato.
< Non si può parlare con te in queste condizioni! > sbuffò la mia amica, facendomi appunto notare che potevo diventare una fontana ambulante o un'isterica senza ritegno in qualsiasi istante.
Si sporse oltre il divano per afferrare una busta che conteneva un qualcosa che somigliava terribilmente ad un regalo.
< Toh! Vediamo se questo ti fa tornare il buonumore! > mi stuzzicò Ellie, dondolando la confezione davanti ai miei occhi attoniti.
< Non è un po’ presto per cominciare a fare la zia? > le domandai spazientita, prendendo controvoglia  il pacchetto dalle sue grinfie.
< Infatti non è per la mia bellissima nipotina. > mi zittì con una mano sulla bocca prima che potessi ribattere < Taci! Sono stra-sicura che sarà femmina! Comunque dicevo che è per te…con un leggero ritardo, per l’appunto. >
< Ah. >
< E non fare quella faccia! Renèe me l’ha detto che non sei molto amante dei regali, ma non potevo non comprarti qualcosa! >
Sbuffai e soppesai il pacco. Pesava e dalla forma e dimensione aveva tutta l’aria di essere un libro.
Stando ben attenta a non tagliarmi con la carta, come era già successo l’anno prima, strappai il rivestimento blu scintillante di quello che si rivelò essere davvero un libro.
< Me l’hanno consigliato in libreria! > Ellie si strinse nelle spalle < Ti rifiuti di andare a fare corsi pre-parto, quindi ho comprato un manuale fai-da-te completo di dvd! >
La scrutai attonita, sbalordita, indecisa se tirargli il fronte il tomo oppure gettarle le braccia al collo commossa.
Accarezzai le lettere in rilievo del titolo, mordendomi le labbra.
Ellie mi fissava insistente, cercando di decifrare la mia espressione, e Tom Cruise, nel frattempo, correva disperato per le vie di Hong Kong per raggiungere Julia.
< Dalla tua faccia si direbbe che non è proprio quello che volevi… > azzardò la mia amica e, prima ancora che potessi risponderle che non era esattamente quello che stavo pensando, Ellie tirò fuori un altro pacchetto, avvolto frusciante in carta viola.
Alzai un sopracciglio interrogativa.
< Quello era per Natale, visto che hai scartato solo doni per la piccola mi sembrava giusto fare qualcosa anche a te e, siccome tu odi i regali, ti ho comprato un qualcosa che decisamente non avresti mai desiderato ricevere. Il vero dono è questo ed è per un compleanno che inconsciamente ho passato con te senza renderlo speciale in alcun modo…spero che tu faccia una faccia migliore stavolta! >
Mi gettò in grembo una confezione sbrilluccicante come la prima, su cui però campeggiava un biglietto vergato a mano, nella sua elegante calligrafia:
A Belle, per i suoi 19 anni, con immenso affetto.
Quelle lacrime, che tanto a lungo mi avevano negato il loro conforto, si affacciarono ubbidienti ai miei occhi mentre, con mano tremante, scartavo il mio regalo di compleanno, e scesero copiose, rincorrendosi sulle mie guance, quando capii cosa avevo ricevuto.
Romeo e Giulietta.
Lo stesso volume che mi aveva fatta crollare nella biblioteca del signor Smith quasi cinque mesi prima.
Profumava d'inchiostro denso, di parole vergate a mano e di lettere impresse su pagine consunte.
Aveva il dorso rugoso di un blu cupo e il titolo stampato in riccioli argentati.
< Spero siano lacrime di felicità. > mormorò Ellie, guardandomi con occhi colpevoli < Non volevo farti piangere, Belle. Io…pensavo di…di fare una cosa carina… > si mangiò le parole e si alzò dal divano imbarazzata, spegnendo la televisione, dove ormai campeggiavano i titoli di coda.
< Se preferisci lo riporto indietro e… >
< Dacci un taglio, Ellie. Sono contenta, contenta davvero. > singhiozzai, protendendo le braccia come un neonato nella culla.
Lei mi sorrise e un arcobaleno di caldi colori mi abbracciò insieme a lei.


< Belle? > la voce di Ellie risuonò tra i cubicoli del bagno, dove ero dovuta correre dopo l'ecografia di rito, rischiando di farmela sotto.
Ennesima rottura di scatola che la gravidanza si portava dietro: una quasi incontinenza.
Si avvicinò, ticchettando sulle piastrelle azzurrine con quei suoi nuovi stivali tacco dodici con perline rosse e arancioni, e la porta si chiuse alle sue spalle con un cigolio sinistro.
Me la immaginavo a specchiarsi al volo e a stare attenta a non cadere sul pavimento reso scivoloso dalla cera.
< Sono qui. > borbottai da una delle cabine, da cui emersi poco dopo con la vescica finalmente tornata a dimensioni normali.
< Ho parlato con l'ostetrica e...uhm...forse è meglio se ti siedi. > mi comunicò in tono vagamente allarmato, mangiucchiandosi le unghie e rovinandosi nuovamente lo smalto.
Non riusciva a tenere le dita curate per più di due ore.
Alzai gli occhi al cielo.
< Ellie ti ho detto che non voglio sapere il sesso. Voglio che sia una sorpresa e, finchè la dottoressa dice che va tutto bene, a me non importa di nient'alt... >
< BELLE E' UNA COSA DIVERSA, STAMMI A SENTIRE! > la mia amica mi ghermì per un braccio e mi trascinò in una delle tante sale d'attesa asettiche dell'ospedale, che odorava di disinfettante al limone e lattice.
Mi aiutò a sedermi su una panchina, che cigolò sotto il mio peso, e mi fissò intensamente la pancia gonfia, con un'espressione che non riuscii ad interpretare e che mi mise addosso un disagio urticante.
< Ok, mi stai preoccupando. Che succede? > le domandai, sentendo il calore defluire dal mio viso e il respiro accelerare. Portai entrambe le mani al grembo e lo accarezzai con fare protettivo.
Il mio bambino scalciò, spedendomi il cuore in gola.
La mia amica non era il tipo che scherzava su qualcosa di tremendamente serio. Se aveva quella faccia agitata le ragioni dovevano essere gravi.
Ellie prese una generosa boccata d'aria e poi abbassò gli occhi, quasi colpevole.
< Non...so come dirtelo io... >
Nella mia testa iniziai ad analizzare furiosamente tutte le varie opzioni possibili -o meglio, quelle meno atroci che mi balzavano in mente-.
Menomazione fisica.
Problemi respiratori, cardiaci, neurologici.
Malformazione.
Sindrome di dawn.
< ...Belle...aspetti DUE GEMELLI! > gridò di colpo la mia amica, saltando in piedi e battendo le mani entusiasta, come aveva fatto quando aveva scartato il mio regalo di Natale.
Mi limitai ad osservare la sua reazione, senza ben riuscire a comprendere l'entità di ciò che mi aveva appena comunicato.
Io.
Incinta.
Di.
Due.
Gemelli.
-Ti stai spanciando dalle risate tu lassù, vero?-

1 commenti:

Unknown ha detto...

Lo sai il mio rapporto con Bella e ti odio e amore. Amore perché lo so che lei è e sarà sempre l’unica per Jake. Perché con cake diventa un'altra, perché mi piace come si completano a vicenda perché sono semplicemente Bells e Jake. E poi c’è la Bella senza Jake la Bella di Edward che io odio con tutto il cuore, per la sua ottusità e per il suo egoismo. E infine c’è una terza Bella. Esattamente questa. In cui vive in un limbo e che non so se amare ed odiare. Una Bella che a volte sembra più forte e consapevole e che riesce a fare passi avanti, capisce che l’amore per Edward era forte ma non totalizzante, capisce che non hai mai voluto davvero trasformarsi, che era solo la strada più facile. Capisce che ama jake. E allora esulto e salto sul letto perché questa è la mia Bella e poi però immancabilmente torna indietro. Ama Jake, ma non riesce a non fare la vittima. Inizia a riempirsi di balle per non affrontare la verità e decide ancora una volta di essere egoista. Non dire niente a Jake perché magari si è rifatto una vita, perché lui non se lo merita. Eccola la di nuovo quella paura di amare. Bella ama Jake ormai è innegabile ma il vero problema non è che lui è andato via ma che lei non è ancora pronta ad amarlo. Amarlo davvero senza egoismo di fondo.

Insomma continuano ancora a prudermi le mani quando si parla di lei , ma piano , piano sta diventato la Bella che voglio.

Posso dirti però una Bella che senza dubbio amo? Quella con Ellie. Finalmente mi sembra che già come Jake, Ellie sia in grado di tirare fuori il meglio di lei. magari per qualcuno un film con un amica non vuol dire niente ma con lei invece è un notevole passo avanti.

Questa storia diventa sempre più bella e io adoro adoro il tuo modo di scrivere.

Ti stai spanciando dalle risate tu lassù, vero? –

Ti voglio bene tesoro. Al prox capitolo

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